Anche gli animali hanno una coscienza

 

Gli animali non sono delle macchine biologiche, mosse dal puro istinto e senza coscienza di sé. Oggi, anche il mondo scientifico sta scoprendo e capendo l’affascinante mondo della coscienza animale.

Intelligenza e sensibilità degli animali

Non solo Dian Fossey con i suoi gorilla di montagna, o i coniugi Lilly con i delfini, o Donald Griffin con le sue ricerche sulla coscienza animale, ma anche tutti gli esseri umani che sono entrati in profondo amore ed empatia con gli animali, sono rimasti affascinati dalla loro sensibilità e della loro intelligenza. San Francesco e i mistici di ogni tempo hanno espresso con convinzione anche maggiore questa esperienza di comunione con i nostri fratelli più primitivi. Per tutti loro, gli animali hanno una coscienza! Ora anche il mondo scientifico sta riscoprendo l’affascinante e ineffabile dimensione della coscienza animale.

Fino a pochi anni fa la linea scientifica ufficiale, sviluppatasi dall’impostazione cartesiana, sentenziava che gli animali sono delle macchine biologiche, mosse da puri istinti e quindi senza nessuna libertà di decisione, né tanto meno coscienza di sé. Ora questa linea di tendenza cozza contro i dati oggettivi e le osservazioni dei biologi, degli etologi e dei neuropsicologi più avanzati, come Lorenz, Bateson, Lilly, Bonner. A questa nuova tendenza, che considera gli animali come esseri dotati di una loro mente, sensibilità e intelligenza, si sono anche affiancati fisici, cibernetici, psicanalisti e filosofi che sono giunti a queste considerazioni, partendo da altre esperienze.

Vorrei contribuire a questa profonda rivalutazione dell’aspetto psichico intrinseco in ogni essere vivente, con una proposta teorica particolarmente provocatoria, che potenzialmente potrebbe permettere un alto grado di unificazione tra le differenti aree culturali coinvolte su questi temi. La mia ipotesi di lavoro è che la coscienza sia il vero “nucleo originario” di ogni forma di vita, inclusa quella atomica. La coscienza definita come “la capacità di percepire il significato di una informazione”, è presente in ogni essere vivente, e ne rappresenta il cuore, l’essenza.

Benché questo sia per me e molti altri amici e collaboratori un fatto ormai ben compreso e documentato, ritengo – dati i condizionamenti culturali, scientifici e religiosi che ancora ostacolano la visione del singolo scienziato – che sia necessario presentare questa nuova visione dei fenomeni come se fosse ancora tutta da dimostrare, proponendola con l’etichetta “ipotesi coscienza”.

Sotto il termine coscienza, dizionario alla mano, si celano in realtà innumerevoli concetti: la definizione che ho proposto permette di ribaltare completamente tutte le definizioni fino ad ora utilizzate, permettendo di interpretare, su base informatico-cibernetica, i fenomeni mentali presenti nelle unità biologiche e il loro sviluppo cronologico. Nella capacità di autodeterminazione o “volontà” che i batteri hanno dimostrato di avere sui processi di mutazione del loro codice genetico, è racchiusa la logica stessa del vivente.

Prendiamo una cellula, essa è un “mondo vivente”, una sfera composta da miliardi di atomi in continuo e incessante scambio di informazioni; la cellula vive proprio grazie a questa continua comunicazione interna, in cui ogni elemento dell’insieme “informa” e viene informato dall’insieme stesso. Su questa “rete unitaria di informazioni”, sono veicolati i dati sullo stato fisico, sui bisogni biochimici, e sulle necessità dell’intero sistema. Gli esseri viventi, sono dal punto di vista della termodinamica di Prigogine, dei “sistemi lontani dall’equilibrio”, ossia dei sistemi instabili, che per esistere, devono continuamente scambiare materia e informazioni con l’esterno, e che necessitano di un continuo lavoro per mantenere il proprio equilibrio vitale. Questo equilibrio instabile è mantenuto grazie ad una ininterrotta comunicazione, elaborazione e gestione delle informazioni. È necessario allora chiederci: qual è la base dell’unitarietà di questa gestione di informazioni?

Non potrebbe esserci vita senza questa continua comunicazione in rete, ed è implicito che la cellula, nel suo insieme, deve essere in grado di percepire il significato di queste informazioni.L’unità cellula, matrice di tutte le più complesse forma di vita, esiste in quanto è cosciente del significato di tutti gli elementi di cui è composta, e quindi, in ultima analisi, è “cosciente” della sua globalità. Questa coscienza unitaria delle informazioni presenti nella propria struttura, rappresenta la matrice del fenomeno dell’individualità biologica, dell’identità o self cellulare.

Gli animali hanno coscienza di séLa coscienza delle informazioni dell’intera rete costituisce la base della coscienza di sé.Cyber (dal grecoKubernetes: colui che governa, che dirige) è il termine che ho scelto per designare questa coscienza unitaria globale che “governa” le attività di ogni organismo vivente.Ritorniamo alla biologia, questo concetto di coscienza, in realtà, è usato costantemente anche se non viene mai definito. Quando parliamo di un animale facciamo riferimento a quella unità in quanto sistema vivente, e non al fatto che sia un agglomerato di alcuni miliardi di atomi. Il concetto di identità di sé, fino ad ora è stato usato in modo scontato proprio come, prima di Newton, era scontato considerare l’esistenza della forza di gravità, benché non esistesse il concetto scientifico che la definiva. Quando cerchiamo di uccidere una zanzara non abbiamo dubbi che lei sa di esistere e che, per vivere, deve sfuggirci. Ogni essere vivente sa di esistere e la sua stessa vita è strettamente legata alla coscienza di sé stesso, dell’ambiente e delle strategie per sopravvivere.

Ogni essere vivente è quindi una unità di coscienza, un cyber. Tutto ciò è assolutamente logico e auto-evidente, ciò che cambia è solo la nuova prospettiva introdotta con questa ipotesi di coscienza. E’ anche possibile e interessante studiare ogni essere vivente come un “campo di coscienza”, ossia un’area di spazio in cui le informazioni sono percepite ed elaborate in modo unitario e finalizzato. Il processo di evoluzione sarebbe quindi studiato come lo svilupparsi nello spazio, nel tempo e nella complessità delle unità di coscienza. Dai pochi micron del campo di coscienza di un batterio, ai millimetri dei più semplici multicellulari, ai metri e ai chilometri del vertebrati, l’ampiezza del campo di informazione gestito dall’unità di coscienza diventa sempre più espanso, efficiente e complesso, fino all’essere umano, in grado di espandere il suo campo di coscienza dai livelli subatomici fino agli spazi extragalattici.

Ad ogni salto o espansione evolutiva, alla base delle conoscenze acquisite si aggiunge un ulteriore livello di organizzazione e di capacità di gestire informazioni. Ad ogni salto evolutivo aumenta il grado di libertà del sistema vivente, che attualmente trova il suo apice nella libertà dell’uomo. Ma è solo una differenza, una lunga scala di innumerevoli gradini, e questo non consente certo di sentenziare che l’uomo è l’unico essere cosciente o dotato di libero arbitrio: è poca la differenza che ci separa realmente dagli altri animali.

La struttura di ogni essere vivente parte da un identico schema per poi evolversi nello spazio, nel tempo e nella complessità. Analizzando nei dettagli le attività biologiche e informatiche della cellula, risulta evidente che, non solo la cellula nella sua totalità è in grado di percepire il significato delle informazioni presenti al suo interno e che le giungono dall’esterno, ma è anche in grado di decodificarle e integrare questo nuovo significato con quelli delle informazioni presenti nel suo codice genetico, fino ad elaborare una risposta da utilizzare operativamente per la sua stessa sopravvivenza. Ogni cellula, in altri termini ha coscienza delle informazioni che percepisce: le memorizza, le integra con quelle che ha già ricevuto, ed elabora strategie di intelligenza e finalità. In altri termini la cellula è già in grado, seppure su una scala di differente complessità, di fare le stesse operazioni mentali che sono state reputate proprie dell’uomo.

Appare evidente che utilizzando questa definizione cibernetica di coscienza, ogni aspetto della vita diventa un fenomeno di coscienza, in quanto in ogni fenomeno biologico sono necessariamente implicati processi di percezione di informazioni e di elaborazione, memorizzazione e utilizzo finalizzato.

Oltre le concezioni dicotomiche:

Intelligenza del creato Con questa concezione, non è più necessario quindi ricorrere alla dicotomia classica, che vede coloro che sentono l’incredibile bellezza e intelligenza del creato e postulano l’esistenza di un Dio, di un’entità esterna che ha creato il tutto, contrapposti a quelli che, infastiditi dalle proposte fideiste, dogmatiche non verificabili delle religioni,sostengono invece una visione meccanicistica, per la quale la materia è tutto, e ogni fenomeno trova spiegazione nelle sue stesse leggi fisiche naturali, e quindi in sostanza non è necessario concepire alcuna coscienza o entità soprannaturale.

La mia ipotesi è una sintesi delle due: nelle stessi leggi della fisica e della materia sono impliciti i segni della coscienza, ed è questa che continuamente crea, mantiene ed evolve la vita. Non una coscienza antropomorfizzata ed esterna che esiste in una dimensione diversa dalla nostra, al contrario, una coscienza interna, “implicata” (direbbe Bohm) in ogni singolo atomo di ogni vivente. L’ipotesi di una coscienza implicata nei fenomeni biologici, equivale a dire che la natura stessa della vita è coscienza di sé e dell’ambiente esterno.

Così tutta quanta l’esistenza diventa viva, pulsante, intelligente; dal sasso, alle balene, alle foreste, tutto è compreso in una visione unitaria: si apre uno scenario vasto e misterioso dove, finalmente, anche lo scienziato è chiamato a comprendere l’aspetto più inafferrabile e magico della vita, dentro e fuori di lui: la coscienza stessa.

Articolo di Nitamo Federico Montecucco. Titolo originale: “Ipotesi coscienza: la coscienza del sé come ‘cuore’ degli esseri viventi”

Rivisto da Fisicaquantistica.it

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